
“Googlepolio”: il motivo per cui Google domina incontrastato (e gli sviluppi futuri)
Nei riguardi del vero colosso dei motori di ricerca si sono spese molte voci autorevoli del web e del mondo media, che si sono interrogate soprattutto sulle reali possibilità di fare concorrenza al motore di ricerca più importante del mondo. Al contrario si è dibattuto poco su ciò che ha portato un motore di ricerca come Google a dominare incontrastato. Le teorie più discusse trovano il successo di Big G nella user experience, ovvero nella volontà di fornire il risultato più attinente possibile nel minor tempo possibile; altre ancora vedono la vera forza nelle piattaforme di advertising, che oggi sono le più sviluppate al mondo. Grazie alla incomparabile qualità dei suoi algoritmi di ricerca, Google è riuscito a sviluppare un modello di business composto da una serie di servizi a pagamento di forte attrattiva, assolutamente non paragonabili per diffusione a quelli degli altri concorrenti.
Dalla mia ritengo però che queste argomentazioni, per quanto siano assolutamente corrette, offrano una risposta parziale, e che queste da sole non bastino a giustificare l’assoluto predominio che Google ha nei confronti degli altri motori di ricerca.
La ragione sta negli utenti: perché gli utenti preferiscono Google?
Tra il luglio e il settembre 2008, molti portali riportarono notizie dei test condotti da Google nei confronti di un’interfaccia grafica più appetibile per gli utenti (confronta anche TechCrunch e Search Engine Land).
Fornendo ad alcuni utenti la possibilità di votare e modificare a piacimento la SERP, Google eseguì dei test per un’ampia selezione di query, come query a coda lunga, notizie, ricerche personalizzate su argomenti in parte “vicine” agli utenti stessi. Furono addirittura attivati, in occasione del lancio del 2008 di Bing, dei test comparativi, al fine di avere conferma o smentita che l’entrata di Microsoft nel mondo dei motori di ricerca avrebbe potuto incentivare la migrazione di alcuni utenti verso la concorrenza.
Negli anni, ricerche di questo tipo, e molte altre, sono state attivate per controllare se effettivamente vi potessero essere ulteriori migliorie da apportare al motore di Mountain View, al fine di mantenere un’alta customer retention nonostante la concorrenza spietata. Non si è fatta attendere la controbattuta di Bing, Bing It On (update: oggi non risulta più attivo), che permetteva agli utenti di confrontare le due piattaforme e scegliere, su cinque query, la SERP che si preferiva.

Bing It On, il servizio di Bing che permetteva di confrontare Bing con Google.
Nonostante i vari test, alcuni dei quali condotti utilizzando metodologie simili a quelle applicate ai blind test – in questo caso realizzate per mezzo dell’oscuramento di elementi che potevano influenzare gli utenti come brand contenuti negli snippet e altri – molte delle ricerche, come quella condotta da Survey Monkey nell’aprile del 2013, sono sfociate in un’unica risposta: se su quella pagina c’è scritto Google, allora gli utenti preferiscono i risultati a prescindere.
“Non mi importa se esiste un motore più accurato: se il brand che vedo è quello di Google allora lo preferisco”
Di fondo, quel che appare, è che non vi è nessuna logica conclusione che porti a considerare come principale causa quella dell’esperienza utente e della qualità delle query restituite. Ciò che appare essenziale, invece, è rappresentato dalla natura della relazione che si è instaurata tra brand e utenti, quindi sulla credibilità che Google si è saputa costruire nel tempo.
In questo contesto per i competitor diventa difficile, se non impossibile, porre un freno al leader di mercato e combattere ad armi pari con Big G. Infatti, a giudicare dai risultati raccolti dalle ricerche e dai test, quello che un competitor dovrà cercare di fare è distinguersi, operando prima di tutto sulla active consideration – questa sconosciuta – cioè sulla reale considerazione, da parte dell’utenza, delle alternative.

Modello di consumer pathway della ZenithOptimiedia
Un confronto testa a testa con un brand così forte e amato come Google potrebbe portare (e già l’ha fatto, ad esempio con Bing), a un nulla di fatto. Piuttosto che concentrarsi sull’aspetto tecnologico, costruendo un servizio migliore di quello già fornito da Google, i competitor dovrebbero quindi concentrarsi nella costruzione di un brand abbastanza forte da far distogliere, anche solo per un momento, lo sguardo sul colosso californiano. Lo scopo di questo articolo non è certo quello di delineare le strategie del perfetto competitor o di suggerire delle scelte di business. Tuttavia, poiché mi occupo di consulenza SEO, sono interessato anche a valutare se e come l’attuale panorama della ricerca evolverà.
Come abbiamo visto, per fare concorrenza a Google servirebbe (e servirà) più di una grande idea o di un forte investimento nello sviluppo tecnologico; piuttosto ciò che appare è che che il vantaggio competitivo attiene alla natura della percezione che gli utenti hanno di Google, e al rapporto che hanno con questo brand e con la sua concorrenza.
Uno dei principali competitor, Bing, già nel 2010 aveva deciso di intraprendere una strategia di differenziazione suggellando un accordo con Facebook. Nella fattispecie, Bing cominciò a introdurre alcuni dati provenienti da Facebook sul proprio motore e, allo stesso modo, Facebook integrò i risultati provenienti da Bing, quando un utente cercava dalla stringa di ricerca interna del social network. Nel dicembre del 2014, probabilmente a seguito di una politica di centralizzazione dei servizi di ricerca di Facebook, lo stesso accordo è stato poi cancellato, riducendo il vantaggio competitivo di Bing su Google in un colpo solo.
Google, da parte sua, ha adottato una strategia incentrata sullo sviluppo di una piattaforma social proprietaria, Google+. Purtroppo, ciò che era stato previsto dai piani alti di Google non si è però verificato nella pratica, e Google+ non è divenuto la punta di diamante della multinazionale di Mountain View come gli sviluppatori si sarebbero immaginati. Tanto che il 20 gennaio 2015, da Business Insider arrivava l’ennesimo sfottò ai danni della rete social meno utilizzata: “nobody is using Google+”. Sembra ormai inevitabile che Google debba presto prendere la scelta di rivedere il programma d’investimenti destinati al proprio social.
Quale sarà il ruolo di Google (o meglio Alphabet) in futuro?
Difficile a dirsi. Certo, qualcosa possiamo prevedere.
Google, dall’anno della sua fondazione, ha sempre portato avanti, con particolare attenzione, la propria mission: organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e utili. Sono noti, ad esempio, gli accordi intercorsi tra Google, la NASA e D-Wave Systems per lo sviluppo di un network innovativo e di un computer quantistico in grado di dare ulteriore propellente allo sviluppo dei progetti in materia di Intelligenza Artificiale, che già sono stati confermati e discussi da molti portali: questo ha portato allo sviluppo di un reparto dedicato chiamato Google Quantum A.I. Lab Team. Contemporaneamente Google porta avanti progetti dedicati allo sviluppo delle energie rinnovabili e pulite così come altre attività legate allo sviluppo economico sostenibile, riassunti nel progetto Google Green. Allo stesso modo sappiamo del suo impegno nei progetti legati all’elaborazione delle automobili denominato “Google Self-driving Car Project”, le famose automobili autonome prive di conducente.
Tutto questo ha ben poco a che vedere con i motori di ricerca o con la Ottimizzazione per i Motori di Ricerca, se vogliamo dirla tutta; ma penso che possano far intravedere dove e come Google voglia espandersi in futuro, cioè su l’inclusione della ricerca in uno spettro ben più ampio, più personalizzato e soprattutto personale. Non posso fare a meno di menzionare gli ingenti investimenti legati ai Google Glass, progetto ormai cancellato, almeno per adesso. I Google Glass hanno segnato una vera e propria svolta nel mercato degli wearable device, anche se, probabilmente, sono usciti troppo presto in un mercato non ancora pronto, in un formato ancora troppo poco definito e soprattutto senza un precisa domanda proveniente dal mercato alla quale far corrispondere l’offerta. Rimango però convinto che il mercato wearable tornerà presto a essere colmato da nuovi progetti di casa Google.
Infine l’evoluzione di Google verso un motore di ricerca sempre più basato sulla semantica, argomento sul quale molti SEO stanno ampiamente dibattendo da anni.
Per i motori parte dell’obiettivo è costituito dallo sviluppo di macchine che riescano realmente a comprendere come le persone vedono e percepiscono il mondo, anche se questo significa a malapena scalfirne la superficie. Quel che penso, è che l’obiettivo ultimo sia quello di capire come ogni singolo individuo veda, percepisca ed esperisca il mondo circostante, cosicché i risultati siano completamente personalizzati sulla base del singolo e forniscano ad ogni utente, quindi, delle risposte confezionate “su misura”.